Il Nebbiolo: protagonista, ma non da solo, del Nord Piemonte. Altre espressioni da scoprire
Quando sentiamo parlare di Nebbiolo la nostra memoria “volge lo sguardo” alle Langhe. Barolo e Barbaresco continuano ad essere le denominazioni che riscuotono il maggior successo di mercato e di molta parte della critica. La nostra mappa enologica del Nebbiolo sembra essere ristretta alle Langhe, al massimo ci si spinge in Valtellina, ma difficilmente, o solo in ultima battuta, ci si sofferma su quell’area del Piemonte settentrionale che da qualche anno ormai sta tentando di uscire dall’oblio: l’alto Piemonte. Con l’intento di approfondire e far meglio conoscere questa zona di produzione, abbiamo organizzato presso la nostra enoteca una piacevolissima e divertente degustazione tenuta e guidata da Giorgio Fogliani ed intitolata “Vini del Nord Piemonte”.
Qui sotto una sintesi delle informazioni che Giorgio ci ha sapientemente raccontato, lasciando anche e soprattutto voce al vino.
- ALTO PIEMONTE O NORD PIEMONTE
- UN PO' DI STORIA
- GEOGRAFIA
- SUOLI
- CLIMA
- I PRINCIPALI VITIGNI OLTRE AL NEBBIOLO
- LE DOP E LA PAROLA AI VINI
ALTO PIEMONTE O NORD PIEMONTE
“Nord Piemonte” non è un’espressione codificata o riconosciuta nel mondo del vino, si sente invece spesso parlare di “Alto Piemonte”, termine che spesso è utilizzato in senso stretto per designare la fascia collinare delle provincie di Novara, Vercelli e Biella (culla di denominazioni nobili come Gattinara, Boca o Lessona) e che talvolta include la Val D’Ossola.
Il consorzio “Tutela Nebbioli Alto Piemonte”, nato poco più di un ventennio fa, riunisce le dieci DOP di questa zona: Valli Ossolane, Colline Novaresi, Boca, Ghemme, Sizzano, Fara, Gattinara, Bramaterra, Lessona e Coste Della Sesia, lasciando fuori Carema, Canavese, Erbaluce di Caluso e una piccola parte della bassa Val d’Aosta, che vengono assorbite invece dal Nord Piemonte.
In sostanza il Nord Piemonte abbraccia anche il prolungamento ad ovest dell’Alto Piemonte.
Il Nord Piemonte si estende su circa 800ha ma solo 400ha sono vitati: in questa zona, la vite va cercata in mezzo ai boschi vergini e se fino alla metà del secolo scorso coltivare vite era l'attività principale, oggi il bosco si è fagocitato tutto per via di fattori socio-economici che vedremo tra poco.
Questa una esaustiva veduta aerea di Boca anni 30 e poco sotto intorno agli anni 90.
Sebbene le DOP Colline Novaresi e Coste Della Sesia abbiano sotto-tipologie che non prevedono il vitigno Nebbiolo, qui chiamato “Spanna”, l’utilizzo del termine “Nebbiolo” nel nome del consorzio evidenzia la sua centralità, che si attesta come il più talentuoso e con un ruolo predominante indiscusso.
La compresenza sul territorio di altri vitigni di notevole importanza quali Croatina, Vespolina, Uva Rara, ed altri, restituiscono un quadro arricchito in termini di varietà, complessità, originalità e biodiversità della zona in esame. Assemblaggio di uve che, nonostante la centralità del Nebbiolo, marca la differenza rispetto alle Langhe e che esprime, e continuerà ad esprimere, tutta l’unicità esplosiva di queste terre vitate.
Vi sono aziende che rinunciano all’assemblaggio (nelle DOC che lo consentono) vinificando solo uve Nebbiolo.
Quasi gli stessi vitigni e condizioni pedoclimatiche si ritrovano anche nel Canavese, con la minuscola DOC Carema come punta di diamante rossista. La definizione di un’area vitivinicola più ampia di quella dell’Alto Piemonte aveva bisogno di un nome: Nord Piemonte (che include per affinità di terroir anche il primissimo tratto della Val D’Aosta).
UN PO' DI STORIA
Il ritrovamento di vinaccioli carbonizzati nel novarese attesterebbe le prime sperimentazioni di viticoltura al VII sec. a.C. ad opera di popolazioni celtiche, similmente alla Val D’Aosta. Primi tentativi di viticoltura probabilmente ispirati dai contatti avuti con Greci ed Etruschi. Arrivando all’epoca Romana, Plinio il Vecchio, sebbene sia spesso tirato in ballo per elogiare i fasti della viticoltura alto piemontese di quest’epoca antica, rimprovera i contadini novaresi di difettare nella cura dei tralci e non è meno duro con la qualità del vino, che definisce aspro.
Nel medioevo furono i monaci a far progredire la viticoltura soprattutto nelle provincie di Novara e Vercelli arrivando nel basso medioevo a porre particolare cura nella coltivazione della vite e a proporsi anche come osti. A quest’ultimo periodo risalgono le prime attestazioni scritte del Nebbiolo e testi che indicano chiaramente come l’attività vitivinicola rivestisse un ruolo di primaria importanza nella zona.
Nell’età moderna i vini nord piemontesi vengono citati con termini elogiativi anche in Svizzera e certamente a Milano, che rimase a lungo il mercato privilegiato dove far confluire le eccedenze produttive dei vini di quest’area. Particolarmente apprezzati erano il Lessona, il Gattinara o i vini di Sizzano, quest’ultimi da Cavour paragonati ai vini di Borgogna. Un’ attività commerciale dunque viva e vivace nonché apprezzata fuori dai confini di produzione.
Sul finir del secolo il flagello portato da oidio, peronospora e fillossera fa arrestare, come altrove, un mercato vitivinicolo florido. L’inizio del ‘900 con le sue due guerre mondiali contribuisce a rallentare ogni tentativo di ripresa e, con lo sviluppo industriale degli anni ’50 e ’60, i paesi e le campagne delle fasce collinari vengono progressivamente abbandonati. La forza lavoro viene assorbita dalle industrie tessili e la viticoltura a tutti gli effetti abbandonata o relegata ad attività secondaria, permettendo al bosco di riconquistare gli spazi perduti.
Sul finire degli anni ‘80, in tutta Italia il comparto vinicolo iniziava a risollevarsi dallo scandalo del metanolo puntando sul vino di qualità in bottiglia. Nel decennio successivo, quando nel resto dell’Italia la spinta verso la ricerca della qualità aveva ormai vivacizzato il comparto vinicolo, quest’area a nord del Piemonte affrontava il decennio peggiore. Gli ettari vitati delle denominazioni storiche si riducono, da uno a poche decine, il disinteresse degli appassionati aumenta e sulle carte dei vini rimane l’eccezione Gattinara.
Con al crisi del tessile alla fine degli anni ’90, la messa in discussione dello sfrenato ottimismo legato al modello produttivo dominante fino al duemila e l’arrivo di produttori stranieri che rilanciarono alcune aziende storiche, si innesca, seppur in ritardo rispetto al resto d’Italia, un’inversione di tendenza. Questo ritardo congiuntamente all’isolamento ha contribuito a tener lontani dalle mode degli anni 90 i produttori locali, dall’uso sfrenato di legni nuovi o dall’iper concentrazione dei vini, ma ha anche impedito di fatto la costruzione di una visione d’insieme.
La nascita del Consorzio Alto Piemontese, come dicevamo poco più che ventenne, ha oggi finalmente portato ad una maggior coesione ed una nuova vitalità, sostenuta da giovani vignaioli che riprendono le redini di quelle aziende lasciate all’abbandono dai propri genitori.
L’inarrestabile interesse che suscita il Nord Piemonte sta facendo nascere nuove aziende, ex novo o da trasformazioni di aziende esistenti e, a poco a poco, gli ettari vitati strappati al bosco tornano a crescere.
Anche alcuni storici produttori Piemontesi, (Conterno rilevando l’azienda gattinarese Nervi è uno dei maggiori esempi), iniziano a guardare con maggior interesse quest’area del Piemonte. L’interesse per paradosso giunge proprio dalle Langhe, alimentato da un lato dai prezzi più convenienti di queste zone rispetto ai territori delle Doc langarole e dall’altro dalla sfrenata ricerca di luoghi che possano garantire l’elaborazione di vini leggeri e con spiccata acidità (oggi molto apprezzati) in opposizione ai tenori alcolici da muscolosi che stanno sempre più assumendo i vini langaroli a causa delle mutazioni climatiche.
Vi è poi da sottolineare come una costante crescita di interesse di critici e addetti ai lavori, a dispetto del disorientamento del pubblico, possa portarci a credere che questa possa realmente diventare nel prossimo futuro una zona di produzione di eccellenza a livello italiano. D’altronde gli argomenti a cui siamo maggiormente sensibili non mancano: geologia del territorio, storicità dei vitigni locali, piccole aziende e rossi affilati e leggeri.
GEOGRAFIA
Possiamo scomporre l’area viticola del Nord Piemonte in tre zone principali.
- La più settentrionale è l’area dell’Ossola che si estende longitudinalmente per circa 40 km nella provincia del Verbano-Cussio-ossola.
- Scendendo a sud di circa 40 km incontriamo le DOP Boca e Colline Novaresi , posizionate nell’area nord orientale dell’Alto Piemonte che occupa le fasce collinari delle provincie di Novara, Vercelli e Biella.
- La terza area è il Canavese, la più occidentale e meridionale del Nord Piemonte situata a Nord della provincia di Torino.
Il fiume Toce attraversa la Val D’Ossola, la Sesia separa il novarese e il vercellese e le DOP Colline Novaresi e Coste della Sesia, la Dora Baltea attraversa la Val D’Aosta e il Canavese. A pochi km dai vigneti del Novarese troviamo il lago D’Orta e il lago Maggiore, nel canavese i principali laghi sono quelli di Viverone e Candia.
La ricca presenza d’acqua ha contribuito alla conformazione geografica dell’area e ne influenza il clima.
La presenza delle montagne è importante in tutto il Nord Piemonte.
Val D’Aosta, Carema e Ossola sono territori alpini, mentre il gruppo montuoso del Rosa scherma da buona parte delle intemperie provenienti da Nord Ovest.
SUOLI
Dal punto di vista geologico la Val D’Aosta e la valle del Canavese, così come la Val D’Ossola sono simili. Dopo l’orogenesi alpina l’azione erosiva dei fiumi Toce e Dora Baltea hanno conformato il territorio e caratterizzato la composizione dei suoli che sono dunque colluvio-alluvionali e morenici, costituiti dal materiale eroso e ri-depositato da fiumi, acque superficiali e ghiacciai.
Di formazione prevalentemente morenica è invece il Canavese (scioglimento del grande ghiacciaio che nel Pleistocene occupava tutta l’area).
Nell’ Alto Piemonte il vulcano della Val Sesia ha influenzato notevolmente la conformazione geologica del luogo.
Il terroir di Gattinara, Boca e parte di Bramaterra sono formati da porfidi dell’antica caldera del super vulcano. Rocce ricche di minerali, variabili in tessitura e colore, che in genere si disgregano facilmente a contatto con l’ossigeno fino a raggiungere granulometrie sabbiose.
Sebbene Ghemme, Fara e Sizzano abbiano suoli fluvio-glaciali e morenici presentano anche loro frammenti rocciosi di origine vulcanica.
A Lessona il suolo è formato da sabbie descritte come marine, ma la straordinaria ricchezza minerale e acidità del suolo fa suppore che, almeno una percentuale di queste sabbie, abbia origine vulcanica.
L’acidità dei suoli è una caratteristica che accomuna tutto il Nord Piemonte, anche se le zone con suoli di origine vulcanica, va da se, hanno acidità maggiori.
Su terreni con pH bassissimi solo la vite, sebbene a fatica e minata nella vigoria, riesce a resistere. La scelta del portainnesto diventa però faticosa e cruciale per la sopravvivenza della pianta. Terreni poveri e acidissimi rendono più gracili le piante a tal punto da poterne sottostimare l’età. L’influenza sui vini è marcata a tal punto che l’acidità è ormai caratteristica identitaria delle produzioni locali, unitamente alla mineralità (la relazione causale tra mineralità del suolo, mineralità del vino e percezione gustativa è argomento inesauribile di dibattiti, e sebbene la prima relazione sembri acclarata, sulla seconda nonostante non si sia ancora fatta piena chiarezza, l’acidità sembra possa contribuire ad esaltare la percezione della salinità dei vini).
CLIMA
Il clima è fortemente influenzato dalla presenza dell’arco alpino ed è temperato prealpino, subalpino e subcontinentale.
Precipitazioni concentrate in primavera e autunno con estati e inverni relativamente asciutti. Mediamente le precipitazioni sono sopra la media di altre zone del Piemonte, con in testa per mm annui, la zona ossolana infatti è tra le più bagnate d’Italia.
Le escursioni termiche di inizio autunno, particolarmente consistenti, sono propizie ai fini di una maggior maturazione aromatica a ridosso della vendemmia.
I PRINCIPALI VITIGNI OLTRE AL NEBBIOLO
Nonostante il ruolo da protagonista rimanga quello del Nebbiolo, come già accennato esistono in zona diversi vitigni comprimari dalla spiccata personalità e radicati nel territorio da secoli. Parliamo di vitigni come Vespolina, Uva rara, Croatina, Ner d’Ala utilizzati da sempre per ottenere nei vini un bilanciamento dei tannini, delle acidità della maturità e del colore, e che cautelavano il viticoltore da attacchi di parassiti in funzione della differente risposta di ciascuno vitigno. Di base il concetto stesso di monovitigno era comunque evitato.
L’aumento medio delle temperature che permette oggi al Nebbiolo di arrivare a piena maturazione congiuntamente alla sempre crescente notorietà di questo vitigno, spingono molti produttori a vinificare esclusivamente queste uve. E’ così che quasi tutti i Gattinara, Lessona e molti Ghemme sono dei monovitigno e la tendenza è quella di aumentare le percentuali di Nebbiolo anche in quelle denominazioni dove in passato si lasciava più spazio ai vitigni comprimari (Fara e Sizzano). In ogni caso i disciplinari di Boca, Bramaterra, Fara e Sizzano impongono l’uso dei vitigni comprimari mentre gli altri disciplinari non lo vietano. Esistono diversi produttori che vinificano separatamente i vitigni comprimari donandoci la possibilità di scoprirne le potenzialità, ma sono spesso uve che ricevono meno cure in vigna e cantina e le bottiglie vengono immesse sul mercato il prima possibile.
Il Nebbiolo
Il Nebbiolo è diffuso nella bassa Val D’Aosta, Canavese, Val D’Ossola e Valtellina nonché, con presenza meno rilevante, in Sardegna e nel Bresciano. In ogni zona prende un nome diverso picotendro a Donnas e Pont-Saint-Martin, spa(n)na o spagna tra Biella e Novara, prünent a Domodossola e chiavennasca tra Sondrio e Tirano. Alta è quindi la variabilità intravarietale e l’attitudine ad interagire con il territorio, sviluppando caratteristiche peculiari che determinano gli ecotipi.
I vini derivanti da Nebbiolo sebbene cromaticamente effimeri e caduci (a causa dei loro antociani facilmente ossidabili) hanno, come noto, una spiccata predisposizione all’invecchiamento: estratto secco, alcol, tannini e alta acidità sono fattori determinanti in tal senso. Da rimarcare inoltre la tradizione ormai caduta in disuso, ma ancora prevista dal disciplinare di Lessona, di far appassire i grappoli per qualche settimana dopo la vendemmia.
Il Nebbiolo necessita assemblaggio con altre uve: qui più che in altre zone, le frequenti precipitazioni, i terreni estremamente acidi e poveri, le temperature da alta montagna, sebbene le altimetrie non lo siano, quanto più le pendenze e il clima, non sempre permettono una buona maturazione delle uve. Altre uve più fruttate e polpose fanno così da complemento.
L'Uva Rara
L’Uva Rara, o bonarda novarese, nell’astigiano detta anche balsamina (nome che in Ossola però designa la Vespolina) prende il nome dalla forma del grappolo che è spargolo e con acini grossi e succosi. Molto resistente, a maturazione tardiva. I vini da Uva Rara evidenziano un frutto intenso (fragola, ciliegia, uva), sono freschi e di facile bevibilità. Viene utilizzato come comprimario del Nebbiolo per smorzarne le spigolosità, renderlo più voluminoso e pronto. L’Uva Rara è ammessa in tutte le denominazioni rosse del nord Piemonte (dal 10% del gattinara al 50% di Fara, anche se in realtà il suo utilizzo è minore).
La Croatina
La Croatina, in alcune zone chiamata Nebbiolo a causa della somiglianza dei loro grappoli, è sensibile alla siccità e all’oidio, colorante, tannica, dà vini corposi, profondi, tannici e leggermente rustici. E’ ammessa nelle DOP Bramaterra, Valli Ossolane, Carema, Canavese rosso, Coste della Sesia e Colline Novaresi.
La Vespolina
La Vespolina (ughetta nell’Oltrepò pavese), è parente stretta del Nebbiolo. Ha basse rese ed è molto delicata, ma si è continuato a mantenerla in quanto, temendo le scottature è adatta alle esposizioni sconsigliate al Nebbiolo. Fra i comprimari del Nebbiolo è considerata la più talentuosa e profumata. Ha note spiccate di spezie ed erbe aromatiche riconducibili al rotundone (molecola odorosa presente anche in uve come Syrah, Mourvèdre, Schioppettino e Corvina)
Tutte le DOP nord piemontesi rosse ne ammettono l’utilizzo, è più diffusa nel novarese, ma in ogni caso gli ettari vitati sono solo 40 in tutto il Piemonte.
TUTTI I VINI DEL PIEMONTE
Erbaluce
Le uve bianche della zona vedono l’Erbaluce come unica protagonista. Poco fertile è allevata tradizionalmente a pergola. Uva versatile è adatta a vari tipi di vinificazione. Si trova nelle versioni passite, bianco secco o spumantizzato. Dotata di spiccata acidità e predisposizione all’invecchiamento che gli permette di esprimersi al meglio.
L’alta acidità spinge alcuni produttori ad intervenire per ridurne la percezione attraverso un residuo zuccherino, altri la esaltano con vendemmie precoci o inibendo la fermentazione malolattica.
L’erbaluce è la protagonista delle DOP Caluso (bianco, passito e metodo classico) e Canavese bianco.
Unica uva utilizzabile nella tipologia bianco delle DOP Colline Novaresi e Coste della Sesia ( vitigno non menzionabile in etichetta).
LE DOP E LA PAROLA AI VINI
CALUSO E CANAVESE
Il Canavese è un’area vasta che ricade principalmente nella provincia di Torino e sconfina in quella di Biella e Vercelli. E’ un anfiteatro morenico risultato dello scioglimento e dello scivolamento del ghiacciaio Balteo che nel Pleistocene si spinse dalla valle D’Aosta verso la pianura Padana. L’anfiteatro e costituito da tre strati concentrici corrispondenti alle tre fasi di formazione dell’anfiteatro.
Le zone più esterne dell’anfiteatro presentano altitudini maggiori che vanno via via digradando verso il centro. All’esterno troviamo terreni rocciosi, compatti e con pochissima sostanza organica, man mano che ci si avvicina al centro dell’anfiteatro aumenta la presenza di ghiaia, sabbia e argilla. L’anfiteatro è chiuso a nord est dalla Serra d’Ivrea (fascia collinare che corre da nord est a sud est per circa 20 km), a sud da una morena orientata est-ovest, e ad ovest dal gruppo occidentale che arriva a lambire l’arco alpino. Al centro dell’anfiteatro Ivrea, dove l’illuminato imprenditore Olivetti esortando gli operai a non abbandonare la campagna, ha contribuito a ridurre l’esodo del dopoguerra che in queste zone è stato meno imponente, fu altresì fondatore della cantina sociale di Piverone.
CALUSO
La DOP Caluso comprende 36 comuni che occupano il cuore dell’anfiteatro morenico del canavese e 254 ha rivendicati e i suoli ed esposizioni che variano in funzione della loro posizione all’interno dell’anfiteatro. La Il disciplinare della DOP Caluso o Erbaluce di Caluso permette l’utilizzo di un solo vitigno : l’erbaluce. L’erbaluce ha acini dalla buccia spessa e conserva un elevata acidità delle uve anche a piena maturazione, che consente di elaborare vini bianchi secchi, spumanti e passiti. Nell’età moderna la maggior parte delle uve erbaluce della zona erano destinate quasi totalmente alla produzione di vino passito che era considerato il grande vino del territorio. Nelle versioni secche, così come per il Nebbiolo, esprimono il meglio dopo qualche anno di evoluzione.
CANAVESE
Questa è una denominazione “di ricaduta” di Carema e Caluso. Bianchi a base erbaluce mentre per i rossi e i rosati il disciplinare consente l’utilizzo dei vitigni Nebbiolo, barbera, uva rara, bonarda, freisa, neretto>60%, + altri vitigni non aromatici; con menzione vitigno: Nebbiolo, Barbera>85% + altri rossi.
LA PAROLA AL VINO
1 Origini Cantine del Castello delle sorelle Conti
Il primo vino è l'unico bianco della batteria, un Erbaluce macerato sulle bucce. La macerazione, sebbene non eccesiva, dona profumi molto più intensi di un bianco classico. Nitide note di miele, te, camomilla, erbe officinali, un vino molto ampio rispetto a una vinificazione in bianco, ma dall’altro lato è più rustico. Venendo meno una lettura definita e netta del vitigno, guadagna in struttura e profondità gustativa
COSTE DELLA SESIA E COLLINE NOVARESI
Tendenzialmente considerate denominazioni di ricaduta presentano in ogni caso porzioni di territorio in cui Colline novaresi e Coste della Sesia sono la sola opzione possibile oltre alla generica DOP Piemonte. Le due denominazioni si spartiscono l’Alto Piemonte da Oleggio a Biella e sebbene non godano di alta considerazione vi sono alcune aree dalla storicità indiscussa come Suno, Bogogno e Mezzomerico situate ad est della dorsale di Ghemme, Sizzano e Fara e che condividono con questi ultimi, terroir simili. Nella sezione occidentale dell’Alto Piemonte per storicità possiamo citare: Castello, Cossato, Quaregna, Valdegno e Vigliano, situati a ad ovest di Lessona e che hanno “rischiato” di rientrare nella DOP Lessona. I suoli delle Colline Novaresi sono formati da depositi fluviali, depositi glaciali di fondo e di ablazione e depositi fluvioglaciali. I suoli con alta presenza di porfido nelle Coste della Sesia a nord sono simili a quelli di Boca e Gattinara, mentre le due porzioni a sud presentano depositi fluvioglaciali e qualche vena granitica.
LA PAROLA AL VINO
2 Coste della Sesia Fabio Zambolin 2019
Siamo a Fossato in provincia di Biella, a sud di Lessona e a pochi km da Bramaterra.
La vinificazione avviene in acciaio con un po’ di affinamento in legno. Il 2019 al naso lascia subito riconoscere il Nebbiolo, con le sue note classiche di sottobosco, corteccia, frutto non troppo esplosivo. Un vino molto sereno, fresco, senza appesantimenti e assolutamente uno specchio fedele del Nebbiolo della zona, da cui si ricava una fotografia immediata del Nord Piemonte.
In bocca è più asciutto, ossuto, verticale, molto più magro di un Nebbiolo di Langa. Il suo tenore alcolico è ben misurato, come freschezza, tannino e sapidità, in perfetto equilibrio tra loro.
Leggera nota ematica in chiusura che rimanda alla forza minerale del terreno.
FARA
Si situa nella fascia più meridionale delle denominazioni storiche dell’Alto Piemonte e comprende anche il comune di Briona, a sud di Fara. Il clima più caldo, qui come a Sizzano, ha favorito maggiormente lo sviluppo di Vespolina e uva rara, ma anche Croatina (qui chiamata üga dal ziu) e barbera, rendendo meno protagonista il Nebbiolo. La cantina sociale è ancora molto attiva ed ha avuto un ruolo centrale nel mantenere in vita la viticoltura della zona ricevendo le uve prodotte e garantendo un prezzo equo. Gli ettari di questa DOP rimangono pochi, solo 5 quelli rivendicati. I vini di questa DOP sono tendenzialmente considerati più immediati e leggiadri rispetto ai Ghemme e Gattinara. I vitigni ammessi: 50-70% Nebbiolo, Vespolina e/o uva rara 30-50%, più altri rossi non aromatici autorizzati in regione.
LA PAROLA AL VINO
3 Fara Barton Vignaioli Boniperti 2019
70% Nebbiolo 30% Vespolina
Caratterizzato al naso da una spaziatura dolce, è goloso come può esserlo una gelatina alla fragola, spicca una fresca nota disimpegnata data dalla Vespolina. Si presenta subito come un vino tecnico e preciso, come un'impronta o un modello del fare vino a Fara.
Sebbene i Fara abbiano meno percentuale di Nebbiolo e sebbene siano coltivati a quote più basse rispetto agli altri, la loro capacità di invecchiamento non è però da meno.
La struttura è sicuramente meno imponente, ma rimane in ogni caso un vino molto serio che rimane presente a lungo in bocca. La sua concentrazione e progressione gustativa e la sua notevole freschezza invogliano il riassaggio.
Rotondo, succoso, frutto definito e rispondente tra naso bocca
Qualcuno potrebbe non apprezzare la sua semplicità ma non è assolutamente scontato, un ottimo vino da aperitivo o per iniziare la serata, perché invoglia al secondo bicchiere.
CAREMA LA CITTÀ VIGNETO
Ultimo comune piemontese prima della Valle D’Aosta, Carema è incastonata tra le Alpi Biellesi e le Graie a Ovest, porta d’ingresso della Val D’Aosta. Da Soldati è stata definita “città-vigneto” data la presenza pervasiva della vite, anche in giardini e orti.
Il monte Maletto è stato nei secoli terrazzato con terra di riporto dal fondovalle trattenuta da muri a secco di granito.
Praticamente ogni famiglia vinificava in proprio le proprie uve, tanto che quando nacque la cantina sociale (1960) non venivano conferite uve ma direttamente il vino. Abitudine che si protrasse per anni. Alla fondazione della DOC si contavano 40 ha, ma la difficoltà di lavorazione di vigneti posti su terrazzamenti hanno portato nel tempo ad una micro parcellizzazione dei vigneti e ad un relativo abbandono tanto che nel 2013 gli ettari vitati si sono ridotti a circa 13. Oggi alcuni giovani attratti dal fascino della città-vigneto si sono aggiunti con nuove vigne ai due soli protagonisti della zona: la cantina sociale e l’Azienda Ferrando.
I vigneti della DOC Carema (situati tutti nel territorio comunale) sono prevalentemente esposti a sud ovest e sorgono su suoli morenici con acidità elevate e poveri di sostanza organica. Allevate a pergola ed alcuni a spalliera. La pergola di Carema è chiamata tòpia ed è simile a quella ossolana e valdostana. Qui però sono caratteristici le colonne di sostegno, denominate pilum. Il disciplinare prevede l’uso dei vitigni Nebbiolo ( picotendro o pugnet- sottovarietà del Nebbiolo) >85% +altri rossi non aromatici autorizzati in regione.
LA PAROLA AL VINO
4 Carema Muraje 2018
Al naso scalpita con una energica voglia di esprimersi a briglia sciolta.
Siamo a Carema, nella sua valle a imbuto che si estende da nord a sud, È caratterizzata da montagne ripide, terrazzamenti e agricoltura eroica come in Val d'Aosta, poca insolazione, viticoltura di montagna come ecosistema ma non per le altimetrie.
Bellissimi i vigneti a pergola su terrazze chiuse da colonne che ricordano un lontano stile dorico.
Qui si sono insediati un pugno di produttori molto giovani che hanno attuato inversione di tendenza nel tornare a cimentarsi nella viticoltura affascinati dalla magia della vigna, ma in uno dei luoghi più impervi da coltivare, talvolta anche iniziando da zero.
L'utilizzo di botti piccole non è stata una scelta voluta, piuttosto obbligata dalla poca produzione, insufficiente per permettersi l'utilizzo di botti grandi, se consideriamo che i 5 o 6 produttori non superano i 2 ha ognuno.
Questo vino esalta note fresche e pungenti di menta, ma anche più rotonde di nocciola, torroncino, con un sentore leggermente tostato in bocca che al naso invece non si avverte
5 Carema Sole e Roccia Monte Maletto 2020
Vinificazione in acciaio e botte piccola
Al naso rimanda al legno, ma non al legno di botte o di giovane, ma a un legno crudo, fresco, profumi di bosco, di corteccia.
Già liberato dalle note di legno date dalla permanenza in botte, si espande conservando il suo lato selvatico in un ventaglio di spezie, bacche rosse come mirtilli.
Un vino che invita all'assaggio
Anche in bocca si ritrova la sua parte selvatica, non si espande in larghezza, piuttosto in verticalità, un'onda sapida e minerale fluttua in bocca ed evoca una suggestione rocciosa.
Un vino da pensare per un lungo periodo, merita essere atteso o assaggiato con uno sforzo immaginativo da leggere anche tra almeno 5 anni.
Spiccata acidità, leggermente metallico, freddo e affilato. In assoluto un grande vino, senza nessuna nota stonata o forse si: la sua grande beva lo rende un vino "pericoloso", impossibile non apprezzarlo e terminare la bottiglia in un attimo.
BRAMATERRA
Passiamo a Bramaterra che però non è un luogo anche se è stato un toponimo intorno al XV secolo, con confini individuati che costituiscono il nucleo della denominazione
Occupa sette comuni: due in provincia di Vercelli ( Lozzolo e Roasio) e cinque in provincia di Biella (Brusnengo, Curino, Masserano, Sostegno e Villa del Bosco). Presenta un’identità geologica variegata. Masserano, il comune politicamente più importante, è stato a lungo, almeno fino all’inizio del novecento, anche il nome con cui si identificava il vino Bramaterra. In un documento storico risalente alla fine del XV sec e redatto per dirimere una controversia tra Roasio, Lozzolo e Sostegno compare per la prima volta il termine Bramaterra definendone anche i confini di produzione, parzialmente riconducibili a quelli odierni. Il primo vino ad essere chiamato Bramaterra è stato prodotto dalla famiglia Sella nel 1902.
Per ritornare alla variegata composizione dei terreni troviamo: porfidi quarziferi ad est e nella porzione centrale della DOP intervallati da dolomie e arenarie; successioni sabbioso-ghiaiose e parzialmente depositi fluviali nel fondovalle; inerti granitici nella porzione occidentale.
A causa di questa varietà di terreni i Bramaterra possono risultare molto diversi tra loro.
Pochi anni prima che venisse istituita la DOP, che risale al 1979, alcuni vignaioli chiesero, senza essere accontentati, di annettere al Gattinara le zone orientali dell’attuale Bramaterra, in virtù della similitudine delle composizioni dei suoli.
La composizione ampelografica prevista dal disciplinare impone l’utilizzo dei comprimari con una percentuale (unico caso della zona) di Croatina e una quota di Vespolina (Nebbiolo 50-80%, Croatina <30%, uva rara e/o Vespolina < 20%). Questa denominazione sta riscuotendo nell’ultimo periodo un discreto successo anche se la concorrenza dei più noti vicini di casa (Gattinara e Lessona) ne rallenta forse la sua affermazione. Nelle zone in cui prevale la presenza di porfidi vulcanici è altresì complicato coltivare la vite (anche qui la scelta del portainnesto è cruciale) per elevata acidità dei terreni e carenza di sostanza organica, fattori che ne riducono drasticamente vigoria e produttività.
LA PAROLA AL VINO
6 Bramaterra Colombera e Garella 2019
Vinificazione acciaio e affinamento in legno grande
Inizia con una nota linfatica ben definita, al naso ricorda verdure fresche, un sedano appena spezzato. Bel tannino finale, e rispondenza vegetale tra naso e bocca. Note che vertono in china, liquirizia, in bocca più fine, più pulito rispetto al presupposto olfattivo. Attendendo un po' si scopre che anche al naso si pulisce, un rimando a un bitter, poco frutto ma tanto altro. Molto erbaceo, boschivo, profondo, disteso, il tutto in perfetto equilibrio con l’acidità.
7 Juan Agricola Garella
Vinificazione acciaio e affinamento in legno grande
Ci troviamo a Masserano, azienda storica con vigne su entrambi i tipi di terreno.
50 nebbiolo 30 croatina 20 vespolina elemento che contribuisce a farlo decidere di uscire dalla denominazione
Nota molto inchiostrata, leggermente ossidativa che è la sua caratteristica stilistica. Frutto un po’ cupo, vaghe note affumicate e torbate, dovute probabilmente alla croatina, oltre ad essere il suo elemento distintivo: una fotografia di uno stile tradizionale, forse una versione meno innovcativo, ma un vino più rurale e contadino. In bocca recupera e supera le aspettative iniziali per materia ed espressività.
All’inizio ti irrigidisce poi ti conquista. Anche in bocca mantiene un po’ di quella rusticità, un tannino un po’ più deciso rispetto al Bramaterra precedente. Dall'ottima concentrazione e densità si percepisce subito la qualità della materia prima.
Vino ottimo per accompagnare brasati, piatti di carne con cotture lunghe e per questo si discosta in maniera sensibile agli altri. La chiusura minerale, nonostante la sua gran concentrazione e masticabilità, bilancia in perfetto equilibrio con una finale freschezza.
GATTINARA
Con i suoi 90 ha rivendicati congiuntamente ai 15ha per la DOP Coste della Sesia, è storicamente la DOP dell’Alto Piemonte più produttiva e una delle prime in tutto il Piemonte. Gode da sempre di altissima fama, consacrata negli anni ’60. Anche Gattinara ha subito agli inizi del ‘900, successivamente ad una tempesta, un esodo dei suoi abitanti vedendo ridurre gli ha vitati per più dell’80%. Nonostante l’esodo e la riduzione dei vigneti Gattinara ha resistito. I vigneti sono situati su un’unica collina. La presenza di un produttore storico come Travaglini, di una strutturata rete di piccoli produttori e le pendenze eccesive della collina che hanno reso impossibile convertire i terreni ad altre colture, sono stati i fattori cardine del mantenimento in vita della vitivinicoltura locale.
Qui Troviamo i porfidi vulcanici a costituire la collina vitata e scarsa sostanza organica, oltre ad una ricchezza in ferro.
Nebbiolo protagonista incontrastato.
Il disciplinare consente di utilizzare vitigni comprimari: Vespolina <4% e/o uva rara , insieme <10%, ma i vini sono spesso dei monovitigno di Nebbiolo. Non mancano i toponimi rivendicabili come menzioni vigna, i più noti sono Osso San Grato, del San Francesco, della Valferana. La vinificazione per cru non è realizzabile per tutti quei micro produttori che avendo vigneti sparsi in varie aree sono costretti all’assemblaggio. Se per chi riesce a vinificare per cru la scelta potrà essere quella di proporre una linea con menzione vigna ed una più economica definita informalmente Gattinara classico, per chi non riesce, la distinzione sarà solo tra Gattinara e Gattinara riserva (da partite di uve migliori). Le Coste della Sesia ricevono invece tutte quelle partite minori, generalmente situate sulla fascia bassa della collina.
LA PAROLA AL VINO
8 Gattinara Franchino 2018
100% nebbiolo
Indiscussa eleganza, ci riporta un attimo alla memoria della classicità e risolutezza del primo rosso, ma con una marcia in più in finezza e definizione.
Ha note speziate, vagamente affumicate da camino appena spento, ma anche pepe, tabacco, il tutto sapientemente in equilibrio tra eleganza e finezza.
Azienda famigliare di circa 2 ettari, passata al nipote poco più che quarantenne. A Gattinara i luoghi sono molto agresti, le aziende vinicole ti accolgono con bellissime corti ma le cantine sono da scovare, completamente interrate e talmente profonde come cavità nel terreno che le botti solitamente vengono costruite sul posto o si tramandano da generazioni. Luoghi dove il tempo sembra si sia fermato.
In bocca spicca una delicata salinità e grazia. Un'eleganza frugale, contadina, tradizionale.
Un vino certamente non immediato, si lascia scoprire lentamente, da ricercare, introverso, sottile, celebrale.
Adatto anche a lunghe attese, è un vino già interessante da scoprire ora ma che riuscirebbe a rimanere integro ancora per molto tempo ancora.
9 Gattinara Vigna Molsino Nervi 2018
100% Nebbiolo
Naso molto lontano dal precedente, seppure il luogo, la collina, il terroir siano identici. A cambiare leggermente è l'esposizione esposizione, ma si parla di dettagli.
Naso più da grande Nebbiolo lascia presagire un’idea più langarola, un vino più classico.
La polpa persistente lo allontana dalla verticalità dei precedenti vini. Si avverte immediatamente lo stile di Conterno, che dal 2018 assorbe l’azienda e lascia la sua impronta.
Molsino è una vigna, una sottozona di Gattinara che ne conta diverse, tanto che esiste anche un piccolo censimento di cru. Molsino è la più nota.
In bocca mantiene una buona freschezza, ma il frutto rotondo è il vero protagonista. Spessore più fitto, meno affilato e più larghezza rispetto agli altri vini. Una sorta di liason tra Langhe e nord Piemonte. L’impatto del legno è netto, nitido.
BOCA
Situata nel pieno della antica caldera del super vulcano, Boca è uno dei territori più belli e affascinanti, prevalentemente collinare con quote che sfiorano i 500 metri e pendenze significative. Questo splendido terroir vulcanico ha rischiato seriamente l’estinzione passando dai 3-4 mila ettari vitati ai soli 10 degli anni ’90, con soli 84 ettolitri di produzione del 1998. Resistettero alcune aziende storiche fino all’arrivo dalla Svizzera di un commerciante grigionese di vino, Christoph Kunzli, che fondo l’azienda Le Piane rilevando le poche are di un produttore locale.
L’esempio è sempre il miglior insegnamento, Kunzli fu infatti la leva che fece da stimolo alle poche aziende rimaste. Per reimpiantare le vigne il lavoro iniziale fu quello di liberare i terreni dalle robinie che successivamente all’abbandono avevano invaso i vigneti.
Una dozzina i produttori attuali, 15 gli ha vitati, 5 i comuni inclusi in questa DOP istituita nel 1969.
I suoli sono composti da porfidi vulcanici affioranti o sgretolati in sabbie dreananti. La composizione del suolo varia cromaticamente a causa del rimescolamento di materiali e alla proiezioni di piroclasti successici all’eruzione del super vulcano. Suoli acidissimi, poca sostanza organica (ad esclusione di arre più limose presso Maggiorana). La presenza di piante mediterranee come rosmarino, ulivo e mimosa sono a testimonianza dell’efficacia protettiva del Monte Rosa e del Fenéra (unica formazione calcarea della zona) nei confronti delle precipitazioni (piovosità abbondante ma mai critica). I vitigni ammessi dalla DOP Boca sono: Nebbiolo dal 70 al 90%, Vespolina e Uva Rara.
GHEMME
DOC del 1969 e DOCG dal ’97. Ghemme è un piccolo villaggio situato a nord di Fara e Sizzano, sul lato sinistro della Sesia e condivide la denominazione con parte del comune di Romagnano Sesia. La maggior parte dei vigneti è orientata ad ovest e sono disposti su due dorsali collinari che corrono paralleli, tra declivio verso la collina e l’altopiano collinare. Lo schema si ripete sul secondo dorsale. Zona piccolissima, appena un paio di km di larghezza nel comune di Ghemme.
L’azione erosiva della Sesia, qui come a Fara e Sizzano, ha generato un terreno più ricco di argilla, presenza di limo, rocce di origine vulcanica, ciottoli e sassi ricchi di minerali e presenza di calcare. Qui si possono ritrovare dunque tutti i materiali che ritroviamo singolarmente, o in gruppo, nelle altre DOP del territorio.
Nell’Alto Piemonte esistono solo due DOCG, una è quella di Gattinara l’altra è Ghemme. Anche se nel Nord Piemonte le unità geografiche aggiuntive (Uga) o menzioni geografiche aggiuntive (Mga) non fanno parte di nessun disciplinare, il consorzio ha individuato a Ghemme 52 toponimi che un giorno potrebbero essere integrati nel disciplinare come Mga.
A Ghemme si riscontra un radicamento storico e tenace della vitivinicoltura che ha conosciuto nei secoli riconoscimenti e fama e che, con i suoi 50 ha vitati, la pone come la seconda produttrice dell’Alto Piemonte, seconda solo a Gattinara.
I vitigni ammessi dal disciplinare sono Nebbiolo >85% più Vespolina e/o Uva Rara.
LESSONA
Qui troviamo principalmente terreni sabbiosi (unici nella zona delle denominazioni storiche), presenza di quote argillose soprattutto nella zona di Rive Russe (rosse), e sabbia loess (formazione sabbiosa dovuta all’azione dei venti). La presenza di piante come l’ulivo testimoniano l’eccezionalità di questa zona dal clima mite per le latitudini in cui ci troviamo.
La zona è formata da cinque altipiani lunghi e stretti chiamati ori per la presenza di giacimenti auriferi (Oro lungo, Bedotta, Calzaga, Oro di San Giorgio), dai suoli sabbiosi ( oess sabbiosa con inserti di argilla) e da una zona più estesa.
Il Nebbiolo ha riguadagnato il suo primato e sebbene il disciplinare consenta nei vini fino ad un 15% tra Vespolina e Uva Rara, la maggior parte dei Lessona sono monovitigno di Nebbiolo. Il vino monovitigno di Nebbiolo è in ogni caso una realtà storica tanto che a inizio novecento i Lessona erano distinti in Lessona Spanna e Lessona Uvaggio.
SIZZANO
Scendendo a sud di Ghemme troviamo Sizzano i cui soli 6ha rivendicati sono situati sulla fascia collinare del solo territorio comunale. Qui le rese di vigneti molto vecchi è bassissima e la produzione si attesta intorno alle sole 9000 bottiglie. Molte delle uve vengono però declassate a DOP Colline Novaresi.
Il terroir è simile a quello di Ghemme e Fara, ma il microclima leggermente più umido e caldo è più favorevole allo sviluppo dell’Uva Rara e della Vespolina rispetto al Nebbiolo.
Nei primi decenni del ‘900 lo spanna rappresentava appena il 20%. Un po’ in controtendenza rispetto alla tradizione, oggi il disciplinare ha aumentato la percentuale del Nebbiolo rispetto al passato (possibile utilizzarne dal 50 al 70%, Vespolina e/o Uva Rara 30-50%, più altri rossi non aromatici autorizzati in regione).
In linea generale, almeno ad oggi, un Sizzano presenta meno struttura rispetto ad un Ghemme ed è più immediato e fine.
VALLI OSSOLANE
Questa DOP comprende oltre alla valle scavata dal Toce, le due valli laterali. Area incuneata tra Vallese ad ovest e Ticino ad est, vicinissima alla Svizzera ha da sempre mantenuto legami stretti con la Lombardia e con i vicini cantoni svizzeri. Ipotesi di coltura della vite già ad opera dei Celti. La massima produzione risale ai secoli XVII e XVIII (produzione stimata in 25 mila ettolitri), ma già nel XIX sec. la produzione crolla drasticamente per vari fattori, quali l’aumento di produzione nel Vallese e concorrenza dei vini del basso novarese; le crittogame e la filossera, fino quasi a scomparire con lo spopolamento dovuto all’industrializzazione di cui abbiamo già accennato.
L’assenza di una cantina sociale ha forse contribuito al disastro dell’abbandono. E così si è passati da 1.438 ettari del 1929 agli appena trenta negli anni ’90!
Ancora oggi rimane invariato il numero di ettari vitati.
Proprio nell’ultimo decennio del secolo scorso si instaura un’inversione di tendenza grazie all’opera di una singola azienda, quella di Roberto Garrone, che inizia a vinificare oltre che le proprie uve anche quelle dei pochi vignaioli rimasti attivi. Allo stesso periodo risale lo studio del prünent, alla sua selezione a partire dai ceppi delle viti migliori recuperate in antiche vigne che sono poi state moltiplicate in vivaio. Un’opera di recupero e studio che ha preceduto l’istituzione della DOC nel 2009. Le tipologie previste dalla DOC sono bianco, rosso, Nebbiolo e Nebbiolo superiore. Bianco a base Chardonnay, rosso a base Merlot e Croatina ( ammessi fino al 60%). Oggi sono otto le aziende in attività, 30 gli ettari vitati di cui 10 a DOC. Il versante orientale della Val d’Ossola è più vocato al prünent: qui troviamo Masera, Trontano e Montecrestese, luoghi storici della produzione ossolana.
Esposizioni a sud si trovano solo in alcune valli trasversali a quella d’Ossola. L’altitudine media dei vigneti è 300 metri. I suoli sono acidi e ricchi di sarizzo (roccia simile al granito) e bèola ( simile al sarizzo). Tessitura: franco-sabbiosa , con vene argillose sul versante orientale e leggermente più grassi in quello occidentale.
Se sei arrivato fino qui, avrai sete e voglia di ascoltare, ora, solamente i vini.
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