Pur avendo una loro ragione d’essere, i vini dealcolati presentano criticità evidenti per chi conosce e ama davvero il vino.
Anche se privo di alcol, il vino dealcolato non è automaticamente sano. Alcuni aspetti da considerare:
Non sono vino, nel senso culturale del termine, il vino è il risultato della fermentazione alcolica dell’uva, un processo millenario in cui la presenza dell’alcol non è un dettaglio tecnico, ma un elemento fondamentale. Toglierlo significa creare un altro prodotto che non è corretto chiamare vino.
Non è un caso che in molti paesi, per legge, un vino deve contenere almeno 8,5% di alcol per essere chiamato tale.
La millenaria cultura legata all'enologia, alla viticoltura, alla storia del succo più aulico che ci sia mai stato, improvvisamente si vede depauperato della sua natura.
La cultura che sta dietro una bottiglia, la ricerca che avviene, va ben oltre il concetto di alcol e soprattutto il suo abuso.
Decenni di legislatura, di normative che ne regolano doc e docg, certificazioni biologiche, biodinamiche; un mondo infinito in continua evoluzione; il fascino che si cela dietro un vino, senza necessariamente esagerare dall'altra parte e mistificare un comunque prodotto della terra; nessuno di questi aspetti ha a che vedere con il concetto di alcol. Non è quel limitato elemento che fa la cultura del vino.
Con i vini dealcolati viene spazzato via tutto lo studio e l'impegno di giornalisti, di geologi, di consorzi che delimitano i singoli vigneti per esposizione, pendenza, suolo, come nel caso delle MGA del Barolo; tutta la ricerca che da un secolo ha portato il vino da prodotto di nutrimento per i contadini come sostentamento energetico per le loro attività, al prodotto più identitario di un luogo, di una storia, del clima di una determinata annata, che nessun altro prodotto della terra riuscirà mai a essere con così tanta profondità di pensiero.
- Una valutazione sulla materia prima
Ragionando sul lunghissimo lavoro che c'è dietro un vino, il lavoro di un anno intero di cura della vigna, dubbi e scelte di attività come potature, inerbimento, ecc, tutte quelle pratiche che non lasciano dormire di notte quei viticoltori che lavorano per la qualità del vino che il più possibile rispecchi il terroir, l'annata, il clima...ecc, viene immediato domandarsi chi sia quel viticoltore che decide di passare alla produzione di questi prodotti. No sicuramente chi si dedica anima e cuore alla sua terra, non avrebbe senso altrimenti.
E quali saranno quelle uve scelte destinate alla produzione di vini dealcolati? No sicuramente la selezione top, quelle uve derivate da notti insonni ma più probabilmente lo scarto o ciò che rimane da un primo, secondo, terzo e chissà quanti, passaggi in vigna, o forse quelle uve prodotte esclusivamente per i vini meno artigianali e più industriali, dove un eccesso di zelo e di cura non sono fattori necessari. La domanda ovvia è: la qualità della materia prima? Nemmeno serve immaginarselo come sarà, è un'equazione logica.
Meno concettuale e spesso ignorato: per chi ha una storia di dipendenza dall’alcol, consumare un prodotto che ne replica l’aspetto e il rituale può riattivare meccanismi compulsivi, nonostante l’assenza di etanolo.