Carema è un piccolo paese di circa 800 abitanti in provincia di Torino, al confine con la Valle d’Aosta.
Un tempo veniva definito un paese-vigneto: le viti allevate a pergola si intrecciavano tra le case, adornavano cortili e giardini e facevano parte del paesaggio quotidiano.
Per certi versi potremmo dire che oggi non sia più così, ma non diremmo una cosa del tutto vera.
L'influenza agricola è ad oggi ancora molto rilevante. E meno male aggiungiamo noi.
Il tratto caratteristico di Carema è l'architettura dei vigneti: un sistema di terrazze che si arrampicano lungo un anfiteatro naturale, dai 300 ai 600 metri di altitudine.
Per coltivare un terreno così ripido e proteggerlo dall’erosione, gli abitanti hanno creato nel tempo un complesso sistema di terrazzamenti con muretti a secco, affiancato da una forma di allevamento specifica per questo ambiente: la pergola, chiamata "topia" in dialetto piemontese.
Le strutture in legno delle pergole sono sostenute dai caratteristici "pilun", altra espressione dialettale locale che indica tutori tronco-conici in pietra.
Questi colonnati in pietra non solo sostengono l’intero sistema di pergole, ma svolgono anche un ruolo climatico fondamentale: accumulano calore durante il giorno e lo rilasciano nelle ore notturne, creando un microclima più mite tra i filari.
Un tempo il sistema era pensato anche per risparmiare spazio, permettendo di coltivare ortaggi sotto la pergola. I terrazzamenti vitati coprono in totale circa 13 ettari, con rese naturalmente basse.
Tutto ciò che viene raccolto è vinificato localmente e destinato alla Carema DOC, una denominazione istituita nel 1967 che prevede l’uso esclusivo di uve provenienti dal comune di Carema.
Il vitigno coltivato in prevalenza e protagonista è indubbiamente il nebbiolo, qui chiamato "picotendro".
Dinanzi ad uno scenario ambientale di questo genere non è possibile pensare ad un lavoro che non sia manuale in tutto e per tutto.
In paese sopravvive una manodopera, o quello che qualcuno chiamerebbe know-how, capace di mantenere e ricostruire queste strutture secolari, ma il rischio è che questo sapere possa scomparire nel giro di pochi anni.
Rischio che riguarda anche l’abbandono di molti vigneti che potrebbe portare ad un vuoto produttivo e paesaggistico.